MACCHIA
Era la notte del 18 Gennaio, notte di pioggia e di vento. Nello storico allevamento di San Rossore, box numero 21, era nata una puledrina baia dalla conformazione molto esile, le orecchie lunghe ( - come quelle di un asino -, sussurrava qualcuno ) e una grande macchia bianca in mezzo alle fronte. Nasceva da una fattrice di rango, Matilde, e da un celebre stallone americano, Rockwell ( plurivincitore di corse al galoppo molto importanti nel Kentucky ), la cui monta era costata un occhio della testa. Venne chiamata Macchia, per via di quella grande goccia bianca tra gli occhi. Cercarono di venderla alle aste di Settembre ma senza successo: nessuna scuderia si mostrò interessata a quel mucchietto di ossicini.
Nel successivo mese di Marzo, Macchia aveva poco più di un anno, la proprietaria dell’allevamento, Lucia dei marchesi di Roccadimezzo, che nel frattempo l’aveva presa in grande simpatia perché sembrava assomigliarle, con quel carattere allegro e indipendente, la mandò presso la propria scuderia di Milano, dove l’aspettava il rito della doma. Non fu facile metterle morsi e sella: ci vollero numerosi giri del tondino al galoppo per sfiancarne la resistenza: Macchia era gracile e, diciamolo pure, bruttina. Ma aveva carattere. E che carattere!La scuderia di San Rossore non usava far correre i propri cavalli prima dei tre anni di età: Macchia però avrebbe fatto eccezione: doveva cercare di guadagnarsi presto la sua biada e dimostrare senza indugio di meritarsi il ruolo di cavallo da corsa con i primi premi d’autunno: il Bimbi, il Primi Passi, o addirittura il Gran Premio dell’Avvenire: tutte corse in pista dritta per gli esordienti di due anni. Roberto, l’allenatore, non la vedeva di buon occhio. Non ci credeva.
– E’ una brocca, lo si vede lontano un miglio – bofonchiava ogni mattina.
Dovete sapere che in una buona scuderia, come lo era quella di San Rossore, agli ordini dell’allenatore ci sono, oltre al fantino ufficiale che monta quasi esclusivamente in corsa, un certo numero di uomini di scuderia che allenano i cavalli ogni mattina ( passo, trotto, galoppo leggero o canter ) e lo stalliere, il cui compito è quello di riordinare tutti i box sostituendo la paglia gonfia di escrementi con quella pulita e riempiendo di acqua, biada e carote gli appositi recipienti a muro.Il peggiore uomo della scuderia era Walter: una perfetta miscela di arroganza, insensibilità e cattivo carattere. Lo stalliere era Angelo: un giovane ragazzo sardo, figlio di un bravo fantino morto in corsa, pochi mesi prima, disarcionato e poi devastato dagli zoccoli dei cavalli che seguivano. Walter era un violento: lo si era visto spesso frustare sul muso una Macchia perennemente recalcitrante e insofferente ai suoi comandi. Angelo era invece la personificazione della dolcezza. A lui era riservato anche il compito di accompagnare Macchia al passo dopo il canter per far sì che si rilassasse e si asciugasse il sudore, a lui il compito di riportarla nel box già pulito, dove non sapeva fare a meno di accarezzarle a lungo il garrese e la criniera, mentre lei lo fissava con i suoi occhioni vivaci, attorcigliando di tanto in tanto le orecchie asinine quando le sussurrava parole affettuose, e mordicchiandogli dolcemente le spalle, quando lui gliele voltava, per poi ritrarsi un po’ e ghignare come solo un cavallo sa fare, esponendo al mondo tutta la sua importante dentatura.
- Piantala ! – Gli urlava spesso, sogghignando, Roberto. – Me la fai andare in calore ! -
Il rapporto tra Macchia e Walter andava peggiorando di giorno in giorno. Le frustate sul muso erano sempre più frequenti e la puledra non ne voleva più sapere di entrare in pista con lui per il canter. Così un giorno, all’ingresso della pista di allenamento, si impennò improvvisamente, ruotò su se stessa e scaricò Walter a terra, con la faccia nel fango, tra le grandi risate dei colleghi.
Angelo voleva frequentare la scuola di allievi fantini, per diventare bravo e famoso come il povero papà. Roberto sapeva che doveva pur incominciare … perché non metterlo subito in sella a quel mucchietto di ossicini nevrastenici con cui sembrava aver creato un’ intesa speciale? Al passo e al trotto Angelo aveva già provato, con più cavalli, anche con Macchia, dimostrando attitudine naturale. Ma al galoppo? Come si sarebbe comportato? E poi con quella schizzata di Macchia? Roberto riprese per la cavezza la cavalla ribelle e chiamò Angelo.
- Ok Angelo, questa è la tua amica speciale. Montala e falle fare un canter. Redini corte, braccia basse e tese e punte dei piedi in avanti, mi raccomando. Se tira trattienila. Sei pronto? E vedi di non ripetere la brutta figura di Walter –
Angelo non se l’aspettava. Aveva visto la brutta figura di Walter. Non voleva ripeterla. Dopotutto lui e Macchia si volevano bene, no? Era però un po’ spaventato. Anche Macchia sembrava ancora molto nervosa.
- Ok Roberto. Lascia però che le faccia fare due passi accanto a me. Poi torniamo qui, monto in sella e proviamo ad entrare in pista. Va bene? –
- D’accordo Angelo. Fa con calma. Ti aspetto qui –
Angelo si incamminò con Macchia al fianco lungo i passaggi che circondavano i box. Intanto le parlava, come sempre. Le raccontava i suoi piccoli problemi di ogni giorno, le sue speranze, le sue ambizioni. Avrebbe voluto che il suo papà potesse essere orgoglioso di lui, un giorno, da Lassù … Angelo continuava ad accarezzarla e a grattarle ogni tanto la criniera, come piaceva a lei, poi tornarono all’ingresso della pista, dove Roberto li aspettava.
- Ok Roberto. Voglio provare.-
Gli porse la gamba sinistra e saltò in sella. Un colpettino di tacco, le redini lunghe per tranquillizzarla, e Macchia si lasciò portare in pista. Quando Angelo accorciò le redini Macchia riconobbe il comando e schizzò al galoppo.
Roberto li guardava da lontano, col cannocchiale. Angelo stava in posizione perfetta, ginocchia quasi unite, punte dei piedi avanzate, corpo molto rannicchiato e disteso. Seguiva le istruzioni con grande disinvoltura. Figlio d’arte. Macchia galoppava con un’andatura particolare: falcate strette ma molto rapide. Caratteristiche tipiche di una buona velocista. Era la prima volta che Roberto riusciva a considerarla un cavallo da corsa. Adesso avrebbe potuto anche scommettere qualche centesimo del suo tempo su di lei.
Da quel giorno in poi fu Angelo a montare Macchia in allenamento. Tutti i giorni. Lui le spiegava sempre quello che avrebbero fatto e lei attorcigliava regolarmente le orecchie per capire quello che lui le diceva. La coppia funzionava perfettamente e funzionò alla grande quando fu il momento di insegnarle ad affrontare le difficili gabbie di partenza. Macchia sotto le ingenue ma attente mani di Angelo era maturata e ormai pronta per le corse di Settembre. Giovannino Fois, il fantino di scuderia, la testò un paio di volte sulla pista in erba, quella veloce, e ne rimase colpito: - Andatura nervosa ma molto efficace e generosa. Una buona velocista. – Sentenziò. – Buona per i 1000 metri in pista dritta. –
Roberto la iscrisse al Premio Bimbi, il primo premio importante per i due anni, che si sarebbe svolto in Settembre, a San Siro. 1000 metri in pista dritta, come suggeriva Giovannino. E infine arrivò il gran giorno. Angelo, emozionatissimo, la portò a piedi all’ippodromo, lungo la strada che costeggia le scuderie. Macchia venne sellata e poi accompagnata al tondino, dove giunsero in seguito Lucia, Roberto e infine Giovannino nella sua giubba sgargiante, bianca con la croce di Sant’Andrea blu, i colori di San Rossore. Angelo la consegnò a Roberto che diede le ultime istruzioni a Giovannino: - Mi raccomando, non forzarla in partenza e poi spingila in progressione. A braccia. La frusta fagliela soltanto vedere e da lontano. Angelo non vuole che tu la usi. –
Giovannino la portò in pista, insieme agli avversari, e tutti i cavalli ( erano sette ), raggiunsero in breve, al galoppo leggero, le gabbie di partenza, a destra, in fondo alla dirittura principale. Macchia era, per sorteggio, la più esterna di tutti, la più lontana dalla staccionata.
Lo starter aprì le gabbie. Macchia ebbe un leggero scarto, poi si riprese. Giovannino interpretò alla grande il suo carattere decidendo di lasciarla fare da sola, accompagnandola a braccia ma senza forzarla. Il caratteraccio della figlia di Matilde non tardò a farsi riconoscere. Aveva capito tutto e recuperò rapidamente terreno fino a insidiare, travolgere e lasciare a due lunghezze Wouwermann, il favorito della corsa. Angelo corse in pista come un pazzo e saltò addosso a Macchia che si fermò tranquilla davanti a lui per gustarsi fino in fondo la sua affettuosa riconoscenza e il suo entusiasmo.
Macchia corse ancora a due anni, sempre a Milano, il Gran premio dell’Avvenire, e vinse ancora, e vinse ancora l’anno seguente le Oaks d’Italia, il più grande trofeo riservato in Italia alle sole femmine, e poi ancora in Francia, in Inghilterra e, a 4 anni, nel Kentucky. 12 gran premi internazionali, 12 vittorie, sempre nelle braccia di Giovannino Fois, il fantino che frusta col cuore, come ormai lo chiamavano tutti.
Lucia volle riservare a Macchia, per chiudere la carriera di corsaiola e prima di iniziare quella inevitabile di fattrice, un’ ultima corsa a San Siro, la sua pista. Una corsa non troppo impegnativa, una vera e propria passerella, davanti al suo pubblico e ai suoi fan.
Nel successivo mese di Marzo, Macchia aveva poco più di un anno, la proprietaria dell’allevamento, Lucia dei marchesi di Roccadimezzo, che nel frattempo l’aveva presa in grande simpatia perché sembrava assomigliarle, con quel carattere allegro e indipendente, la mandò presso la propria scuderia di Milano, dove l’aspettava il rito della doma. Non fu facile metterle morsi e sella: ci vollero numerosi giri del tondino al galoppo per sfiancarne la resistenza: Macchia era gracile e, diciamolo pure, bruttina. Ma aveva carattere. E che carattere!La scuderia di San Rossore non usava far correre i propri cavalli prima dei tre anni di età: Macchia però avrebbe fatto eccezione: doveva cercare di guadagnarsi presto la sua biada e dimostrare senza indugio di meritarsi il ruolo di cavallo da corsa con i primi premi d’autunno: il Bimbi, il Primi Passi, o addirittura il Gran Premio dell’Avvenire: tutte corse in pista dritta per gli esordienti di due anni. Roberto, l’allenatore, non la vedeva di buon occhio. Non ci credeva.
– E’ una brocca, lo si vede lontano un miglio – bofonchiava ogni mattina.
Dovete sapere che in una buona scuderia, come lo era quella di San Rossore, agli ordini dell’allenatore ci sono, oltre al fantino ufficiale che monta quasi esclusivamente in corsa, un certo numero di uomini di scuderia che allenano i cavalli ogni mattina ( passo, trotto, galoppo leggero o canter ) e lo stalliere, il cui compito è quello di riordinare tutti i box sostituendo la paglia gonfia di escrementi con quella pulita e riempiendo di acqua, biada e carote gli appositi recipienti a muro.Il peggiore uomo della scuderia era Walter: una perfetta miscela di arroganza, insensibilità e cattivo carattere. Lo stalliere era Angelo: un giovane ragazzo sardo, figlio di un bravo fantino morto in corsa, pochi mesi prima, disarcionato e poi devastato dagli zoccoli dei cavalli che seguivano. Walter era un violento: lo si era visto spesso frustare sul muso una Macchia perennemente recalcitrante e insofferente ai suoi comandi. Angelo era invece la personificazione della dolcezza. A lui era riservato anche il compito di accompagnare Macchia al passo dopo il canter per far sì che si rilassasse e si asciugasse il sudore, a lui il compito di riportarla nel box già pulito, dove non sapeva fare a meno di accarezzarle a lungo il garrese e la criniera, mentre lei lo fissava con i suoi occhioni vivaci, attorcigliando di tanto in tanto le orecchie asinine quando le sussurrava parole affettuose, e mordicchiandogli dolcemente le spalle, quando lui gliele voltava, per poi ritrarsi un po’ e ghignare come solo un cavallo sa fare, esponendo al mondo tutta la sua importante dentatura.
- Piantala ! – Gli urlava spesso, sogghignando, Roberto. – Me la fai andare in calore ! -
Il rapporto tra Macchia e Walter andava peggiorando di giorno in giorno. Le frustate sul muso erano sempre più frequenti e la puledra non ne voleva più sapere di entrare in pista con lui per il canter. Così un giorno, all’ingresso della pista di allenamento, si impennò improvvisamente, ruotò su se stessa e scaricò Walter a terra, con la faccia nel fango, tra le grandi risate dei colleghi.
Angelo voleva frequentare la scuola di allievi fantini, per diventare bravo e famoso come il povero papà. Roberto sapeva che doveva pur incominciare … perché non metterlo subito in sella a quel mucchietto di ossicini nevrastenici con cui sembrava aver creato un’ intesa speciale? Al passo e al trotto Angelo aveva già provato, con più cavalli, anche con Macchia, dimostrando attitudine naturale. Ma al galoppo? Come si sarebbe comportato? E poi con quella schizzata di Macchia? Roberto riprese per la cavezza la cavalla ribelle e chiamò Angelo.
- Ok Angelo, questa è la tua amica speciale. Montala e falle fare un canter. Redini corte, braccia basse e tese e punte dei piedi in avanti, mi raccomando. Se tira trattienila. Sei pronto? E vedi di non ripetere la brutta figura di Walter –
Angelo non se l’aspettava. Aveva visto la brutta figura di Walter. Non voleva ripeterla. Dopotutto lui e Macchia si volevano bene, no? Era però un po’ spaventato. Anche Macchia sembrava ancora molto nervosa.
- Ok Roberto. Lascia però che le faccia fare due passi accanto a me. Poi torniamo qui, monto in sella e proviamo ad entrare in pista. Va bene? –
- D’accordo Angelo. Fa con calma. Ti aspetto qui –
Angelo si incamminò con Macchia al fianco lungo i passaggi che circondavano i box. Intanto le parlava, come sempre. Le raccontava i suoi piccoli problemi di ogni giorno, le sue speranze, le sue ambizioni. Avrebbe voluto che il suo papà potesse essere orgoglioso di lui, un giorno, da Lassù … Angelo continuava ad accarezzarla e a grattarle ogni tanto la criniera, come piaceva a lei, poi tornarono all’ingresso della pista, dove Roberto li aspettava.
- Ok Roberto. Voglio provare.-
Gli porse la gamba sinistra e saltò in sella. Un colpettino di tacco, le redini lunghe per tranquillizzarla, e Macchia si lasciò portare in pista. Quando Angelo accorciò le redini Macchia riconobbe il comando e schizzò al galoppo.
Roberto li guardava da lontano, col cannocchiale. Angelo stava in posizione perfetta, ginocchia quasi unite, punte dei piedi avanzate, corpo molto rannicchiato e disteso. Seguiva le istruzioni con grande disinvoltura. Figlio d’arte. Macchia galoppava con un’andatura particolare: falcate strette ma molto rapide. Caratteristiche tipiche di una buona velocista. Era la prima volta che Roberto riusciva a considerarla un cavallo da corsa. Adesso avrebbe potuto anche scommettere qualche centesimo del suo tempo su di lei.
Da quel giorno in poi fu Angelo a montare Macchia in allenamento. Tutti i giorni. Lui le spiegava sempre quello che avrebbero fatto e lei attorcigliava regolarmente le orecchie per capire quello che lui le diceva. La coppia funzionava perfettamente e funzionò alla grande quando fu il momento di insegnarle ad affrontare le difficili gabbie di partenza. Macchia sotto le ingenue ma attente mani di Angelo era maturata e ormai pronta per le corse di Settembre. Giovannino Fois, il fantino di scuderia, la testò un paio di volte sulla pista in erba, quella veloce, e ne rimase colpito: - Andatura nervosa ma molto efficace e generosa. Una buona velocista. – Sentenziò. – Buona per i 1000 metri in pista dritta. –
Roberto la iscrisse al Premio Bimbi, il primo premio importante per i due anni, che si sarebbe svolto in Settembre, a San Siro. 1000 metri in pista dritta, come suggeriva Giovannino. E infine arrivò il gran giorno. Angelo, emozionatissimo, la portò a piedi all’ippodromo, lungo la strada che costeggia le scuderie. Macchia venne sellata e poi accompagnata al tondino, dove giunsero in seguito Lucia, Roberto e infine Giovannino nella sua giubba sgargiante, bianca con la croce di Sant’Andrea blu, i colori di San Rossore. Angelo la consegnò a Roberto che diede le ultime istruzioni a Giovannino: - Mi raccomando, non forzarla in partenza e poi spingila in progressione. A braccia. La frusta fagliela soltanto vedere e da lontano. Angelo non vuole che tu la usi. –
Giovannino la portò in pista, insieme agli avversari, e tutti i cavalli ( erano sette ), raggiunsero in breve, al galoppo leggero, le gabbie di partenza, a destra, in fondo alla dirittura principale. Macchia era, per sorteggio, la più esterna di tutti, la più lontana dalla staccionata.
Lo starter aprì le gabbie. Macchia ebbe un leggero scarto, poi si riprese. Giovannino interpretò alla grande il suo carattere decidendo di lasciarla fare da sola, accompagnandola a braccia ma senza forzarla. Il caratteraccio della figlia di Matilde non tardò a farsi riconoscere. Aveva capito tutto e recuperò rapidamente terreno fino a insidiare, travolgere e lasciare a due lunghezze Wouwermann, il favorito della corsa. Angelo corse in pista come un pazzo e saltò addosso a Macchia che si fermò tranquilla davanti a lui per gustarsi fino in fondo la sua affettuosa riconoscenza e il suo entusiasmo.
Macchia corse ancora a due anni, sempre a Milano, il Gran premio dell’Avvenire, e vinse ancora, e vinse ancora l’anno seguente le Oaks d’Italia, il più grande trofeo riservato in Italia alle sole femmine, e poi ancora in Francia, in Inghilterra e, a 4 anni, nel Kentucky. 12 gran premi internazionali, 12 vittorie, sempre nelle braccia di Giovannino Fois, il fantino che frusta col cuore, come ormai lo chiamavano tutti.
Lucia volle riservare a Macchia, per chiudere la carriera di corsaiola e prima di iniziare quella inevitabile di fattrice, un’ ultima corsa a San Siro, la sua pista. Una corsa non troppo impegnativa, una vera e propria passerella, davanti al suo pubblico e ai suoi fan.
Cari amici lettori, che avete avuto la pazienza di seguirmi fino a questo punto nel racconto, a Voi e alla Vostra sensibilità lascio la scelta del finale di questa storia romantica.
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