2009/09/28



ASALIA

- Mi voglia perdonare l’intromissione, gentile signora, ma purtroppo Giampiero in questi casi non usa guardare in faccia nessuno. Quando la trattoria si riempie comincia ad abbinare i clienti a suo insindacabile giudizio. Così questa volta le è capitato accanto un tipo come me. Cercherò di occupare il minor spazio possibile su questo tavolo microscopico che ci è stato imposto e di non esserle di sgradevole compagnia: godo fama di chiacchierone ma non so se questo la possa rallegrare.

No, non ho ancora letto il Corriere. Ho dato solo un’occhiata ai titoli. Le solite cose … il Berlusca con i suoi eccessi erotici e non, la guerra in Afghanistan, gli sbarchi dei clandestini, gli incendi in Sardegna, il caldo nelle città, le code sulle autostrade, i morti del sabato sera … I giornali potrebbero fotocopiare le pagine di un anno prima senza che nessuno se ne accorga. I palinsesti dei quotidiani sono sempre gli stessi: una noia infinita. Mai un guizzo innovativo, un’idea che porti i lettori nel giornale anziché viceversa. E così i blog su internet acquistano sempre più audience ( adesso si dice così ), perché sanno far partecipe la gente con la loro vivacità e la loro comunicazione bidirezionale. Presto sostituiranno i quotidiani, vedrà … Alberoni? Sì, certo, sa uscire dai noiosi canoni della cronaca e della politica, ma quante ovvietà nei suoi dogmi, e sempre le stesse, da più di vent’anni, tutti i Lunedì, sul Corsera!
Non sarà mica una giornalista, vero? Ah, meno male. Posso continuare, allora?

A me piacerebbe che i giornali dedicassero più spazio ai lettori, alle loro storie, alle loro esperienze … Sa quanta gente sarebbe in grado di raccontarsi con proprietà di linguaggio e con argomenti di sicuro interesse per molti? Mi piacerebbe che i giornali permettessero confronti alla pari di storie, di idee e di considerazioni. Però non sono sicuro che la maggior parte di noi lo desideri veramente. Chi compra un giornale molto spesso vuole solo sentirsi dire quello che si aspetta di leggere e niente che possa affaticare la propria materia grigia e aggiornare o abbattere le proprie certezze, i propri dogmi. Sa, molte volte avrei desiderato scrivere al Corriere, ma ha mai dato un’occhiata alla posta dei lettori? Brevi banalità su politica e problemi di bassa economia o su particolari beghe di nessun interesse generale … Nessuno spazio per il racconto di storie realmente vissute che potrebbero appassionare i lettori. Io, per esempio, ne ho una interessante, anzi, un po’ misteriosa, che mi trascino dentro da tutta la vita, un episodio che non posso dimenticare.
Davvero le interessa conoscerla? Davvero vuole che gliela racconti?

A 26 anni avevo terminato gli studi universitari, il servizio militare e uno stage di sei mesi in Giappone presso una società che produceva le prime calcolatrici portatili. Tornato in Italia cominciai a cercare, a fatica, il mio primo lavoro, ma soprattutto cominciai a frequentare assiduamente Antonella, la figlia unica di importanti amici di famiglia. Era una ragazza molto bella e intelligente e aveva solo 18 anni. Il padre era un importante dirigente di una primissima banca di affari italiana e rappresentava un forte punto di riferimento e di appoggio finanziario per mio padre che gestiva una attività commerciale con un paio di società giapponesi di prim’ordine. Quest’uomo, fisicamente grande e grosso, era un assiduo frequentatore della sua parrocchia dove, durante la messa della domenica, si proponeva come lettore delle sacre scritture. Mi scusi, non sono dettagli inutili, poi certamente capirà.

L’uomo, insomma, incuteva soggezione su tutti i fronti ed era preoccupato della differenza di età tra me ed Antonella e del fatto che io non avessi ancora un lavoro tanto che, quelle poche volte che ci permetteva di uscire la sera, pretendeva che la riportassi a casa sempre prima delle undici, pena una sonora, pubblica e umiliante ramanzina.
Un giorno, era un sabato di Settembre, i suoi genitori decisero di andare a passare il fine settimana a Sanremo, dove avevano una casa. I miei genitori erano già a Stresa da giorni e così il mio appartamento di Milano era libero per offrirci con tranquillità la nostra prima notte d’amore. Passai a prenderla verso le sei di sera e la portai a casa mia dove mi misi a cucinare le poche cose che sapevo: spaghetti con sugo già preparato, pasticcio di patate con maionese e capperi ed infine frutta e vino a volontà. Terminata la semplice cenetta ci alzammo da tavola e ci infilammo, senza molti preamboli, nel mio letto. Saranno state le undici di sera, o poco più. Verso mezzanotte, non ricordo assolutamente per quale motivo, cominciammo a discutere. E poi a litigare. Verso l’una mi alzai e pregai Antonella di rivestirsi. L’avrei riaccompagnata a casa. La serata era malinconicamente finita. La prima notte d’amore nemmeno incominciata.
Salimmo in macchina e arrivammo davanti a casa sua. Sorpresa: l’automobile di suo padre era parcheggiata proprio lì davanti. I suoi genitori erano già tornati a Milano, non ho mai saputo per quale motivo, ed erano le due di notte. Terrore ma anche liberazione. Il giorno dopo ricevetti un cazziatone telefonico da sua mamma, ma cosa sarebbe accaduto senza quella misteriosa e assurda litigata? Cosa sarebbe accaduto se Antonella fosse tornata a casa la mattina dopo? E’ possibile allora, ho pensato, che ci sia davvero qualcuno, da qualche parte, che veglia su di noi? –

- Io credo proprio che sia possibile, caro Valerio … Questo è il suo nome, vero? Il suo racconto mi ricorda molto da vicino quello di un mio cliente. Aveva appena acquistato l’automobile nuova: molti cavalli per sentirsi più sicuro nei sorpassi ( così diceva ). Una sera d’autunno, dopo un incontro di lavoro, stava viaggiando su una strada a grande percorrenza, mi sembra in Toscana, o giù di lì, quando si trovò improvvisamente davanti un camion molto lento, su un medio pendio. I due sensi di marcia erano separati dalla doppia striscia continua, ma la tentazione del sorpasso era grande: nel buio non si vedeva alcun faro dall’altra parte e quel camion, lento e fumeggiante dava proprio fastidio. - Passo o non passo? Passo o non passo? – Si domandò più volte … Dopotutto aveva un bel po’ di cavalli a disposizione. Stava ancora sfogliando tranquillamente la margherita del destino quando nell’altra corsia, improvvisa e velocissima, scese un’altra macchina di grossa cilindrata. Sfrecciò in pochi centesimi di secondo di fianco alla sua e si allontanò sibilando. Bastava che il petalo sbagliato della margherita fosse stato colto e sarebbe stato uno scempio: un impatto frontale sicuramente violento e mortale. Il mio cliente non aveva potuto accorgersi dell’arrivo dell’altra vettura, i cui fari, in prossimità del dosso, avevano illuminato inutilmente il cielo, anziché la strada, dove risultavano invisibili.
E’ allora possibile, Valerio, che ci fosse stato davvero qualcuno, da qualche parte, a vegliare sul mio cliente? –
- Incredibile! Sa che è accaduto qualcosa di molto simile anche a me, trent’anni fa? –
- Davvero ? Dopo mi racconterà. Mi perdoni se intanto mi assento un attimo.-

Mi era davvero successa una cosa identica, trent’anni prima: BMW 320 nuova di pacca, sei cilindri, un casino di cavalli, statale che da Piombino porta a Civitavecchia ( l’Aurelia ) … una cosa proprio identica, il buio, il camion, il dosso … una coincidenza incredibile.

- Ma, Giampiero, dov’è finita quella graziosa signora che era seduta al mio tavolo ?
- Se ne è appena andata, Valerio, e ha pagato anche per te. Mi ha detto che non era la prima volta. Mi ha dato poi questo biglietto da consegnarti.-

“ Da sempre e per sempre. Asalia “
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2009/07/08



MACCHIA

 
Era la notte del 18 Gennaio, notte di pioggia e di vento. Nello storico allevamento di San Rossore, box numero 21, era nata una puledrina baia dalla conformazione molto esile, le orecchie lunghe ( - come quelle di un asino -, sussurrava qualcuno ) e una grande macchia bianca in mezzo alle fronte. Nasceva da una fattrice di rango, Matilde, e da un celebre stallone americano, Rockwell ( plurivincitore di corse al galoppo molto importanti nel Kentucky ), la cui monta era costata un occhio della testa. Venne chiamata Macchia, per via di quella grande goccia bianca tra gli occhi. Cercarono di venderla alle aste di Settembre ma senza successo: nessuna scuderia si mostrò interessata a quel mucchietto di ossicini.

Nel successivo mese di Marzo, Macchia aveva poco più di un anno, la proprietaria dell’allevamento, Lucia dei marchesi di Roccadimezzo, che nel frattempo l’aveva presa in grande simpatia perché sembrava assomigliarle, con quel carattere allegro e indipendente, la mandò presso la propria scuderia di Milano, dove l’aspettava il rito della doma. Non fu facile metterle morsi e sella: ci vollero numerosi giri del tondino al galoppo per sfiancarne la resistenza: Macchia era gracile e, diciamolo pure, bruttina. Ma aveva carattere. E che carattere!
La scuderia di San Rossore non usava far correre i propri cavalli prima dei tre anni di età: Macchia però avrebbe fatto eccezione: doveva cercare di guadagnarsi presto la sua biada e dimostrare senza indugio di meritarsi il ruolo di cavallo da corsa con i primi premi d’autunno: il Bimbi, il Primi Passi, o addirittura il Gran Premio dell’Avvenire: tutte corse in pista dritta per gli esordienti di due anni. Roberto, l’allenatore, non la vedeva di buon occhio. Non ci credeva.
E’ una brocca, lo si vede lontano un miglio – bofonchiava ogni mattina.

Dovete sapere che in una buona scuderia, come lo era quella di San Rossore, agli ordini dell’allenatore ci sono, oltre al fantino ufficiale che monta quasi esclusivamente in corsa, un certo numero di uomini di scuderia che allenano i cavalli ogni mattina ( passo, trotto, galoppo leggero o canter ) e lo stalliere, il cui compito è quello di riordinare tutti i box sostituendo la paglia gonfia di escrementi con quella pulita e riempiendo di acqua, biada e carote gli appositi recipienti a muro.
Il peggiore uomo della scuderia era Walter: una perfetta miscela di arroganza, insensibilità e cattivo carattere. Lo stalliere era Angelo: un giovane ragazzo sardo, figlio di un bravo fantino morto in corsa, pochi mesi prima, disarcionato e poi devastato dagli zoccoli dei cavalli che seguivano. Walter era un violento: lo si era visto spesso frustare sul muso una Macchia perennemente recalcitrante e insofferente ai suoi comandi. Angelo era invece la personificazione della dolcezza. A lui era riservato anche il compito di accompagnare Macchia al passo dopo il canter per far sì che si rilassasse e si asciugasse il sudore, a lui il compito di riportarla nel box già pulito, dove non sapeva fare a meno di accarezzarle a lungo il garrese e la criniera, mentre lei lo fissava con i suoi occhioni vivaci, attorcigliando di tanto in tanto le orecchie asinine quando le sussurrava parole affettuose, e mordicchiandogli dolcemente le spalle, quando lui gliele voltava, per poi ritrarsi un po’ e ghignare come solo un cavallo sa fare, esponendo al mondo tutta la sua importante dentatura.
- Piantala ! – Gli urlava spesso, sogghignando, Roberto. – Me la fai andare in calore ! -

Il rapporto tra Macchia e Walter andava peggiorando di giorno in giorno. Le frustate sul muso erano sempre più frequenti e la puledra non ne voleva più sapere di entrare in pista con lui per il canter. Così un giorno, all’ingresso della pista di allenamento, si impennò improvvisamente, ruotò su se stessa e scaricò Walter a terra, con la faccia nel fango, tra le grandi risate dei colleghi.

Angelo voleva frequentare la scuola di allievi fantini, per diventare bravo e famoso come il povero papà. Roberto sapeva che doveva pur incominciare … perché non metterlo subito in sella a quel mucchietto di ossicini nevrastenici con cui sembrava aver creato un’ intesa speciale? Al passo e al trotto Angelo aveva già provato, con più cavalli, anche con Macchia, dimostrando attitudine naturale. Ma al galoppo? Come si sarebbe comportato? E poi con quella schizzata di Macchia? Roberto riprese per la cavezza la cavalla ribelle e chiamò Angelo.
- Ok Angelo, questa è la tua amica speciale. Montala e falle fare un canter. Redini corte, braccia basse e tese e punte dei piedi in avanti, mi raccomando. Se tira trattienila. Sei pronto? E vedi di non ripetere la brutta figura di Walter

Angelo non se l’aspettava. Aveva visto la brutta figura di Walter. Non voleva ripeterla. Dopotutto lui e Macchia si volevano bene, no? Era però un po’ spaventato. Anche Macchia sembrava ancora molto nervosa.
- Ok Roberto. Lascia però che le faccia fare due passi accanto a me. Poi torniamo qui, monto in sella e proviamo ad entrare in pista. Va bene?
- D’accordo Angelo. Fa con calma. Ti aspetto qui
Angelo si incamminò con Macchia al fianco lungo i passaggi che circondavano i box. Intanto le parlava, come sempre. Le raccontava i suoi piccoli problemi di ogni giorno, le sue speranze, le sue ambizioni. Avrebbe voluto che il suo papà potesse essere orgoglioso di lui, un giorno, da Lassù … Angelo continuava ad accarezzarla e a grattarle ogni tanto la criniera, come piaceva a lei, poi tornarono all’ingresso della pista, dove Roberto li aspettava.

- Ok Roberto. Voglio provare.-
Gli porse la gamba sinistra e saltò in sella. Un colpettino di tacco, le redini lunghe per tranquillizzarla, e Macchia si lasciò portare in pista. Quando Angelo accorciò le redini Macchia riconobbe il comando e schizzò al galoppo.
Roberto li guardava da lontano, col cannocchiale. Angelo stava in posizione perfetta, ginocchia quasi unite, punte dei piedi avanzate, corpo molto rannicchiato e disteso. Seguiva le istruzioni con grande disinvoltura. Figlio d’arte. Macchia galoppava con un’andatura particolare: falcate strette ma molto rapide. Caratteristiche tipiche di una buona velocista. Era la prima volta che Roberto riusciva a considerarla un cavallo da corsa. Adesso avrebbe potuto anche scommettere qualche centesimo del suo tempo su di lei.

Da quel giorno in poi fu Angelo a montare Macchia in allenamento. Tutti i giorni. Lui le spiegava sempre quello che avrebbero fatto e lei attorcigliava regolarmente le orecchie per capire quello che lui le diceva. La coppia funzionava perfettamente e funzionò alla grande quando fu il momento di insegnarle ad affrontare le difficili gabbie di partenza. Macchia sotto le ingenue ma attente mani di Angelo era maturata e ormai pronta per le corse di Settembre. Giovannino Fois, il fantino di scuderia, la testò un paio di volte sulla pista in erba, quella veloce, e ne rimase colpito: - Andatura nervosa ma molto efficace e generosa. Una buona velocista. – Sentenziò. – Buona per i 1000 metri in pista dritta.

Roberto la iscrisse al Premio Bimbi, il primo premio importante per i due anni, che si sarebbe svolto in Settembre, a San Siro. 1000 metri in pista dritta, come suggeriva Giovannino. E infine arrivò il gran giorno. Angelo, emozionatissimo, la portò a piedi all’ippodromo, lungo la strada che costeggia le scuderie. Macchia venne sellata e poi accompagnata al tondino, dove giunsero in seguito Lucia, Roberto e infine Giovannino nella sua giubba sgargiante, bianca con la croce di Sant’Andrea blu, i colori di San Rossore. Angelo la consegnò a Roberto che diede le ultime istruzioni a Giovannino: - Mi raccomando, non forzarla in partenza e poi spingila in progressione. A braccia. La frusta fagliela soltanto vedere e da lontano. Angelo non vuole che tu la usi.

Giovannino la portò in pista, insieme agli avversari, e tutti i cavalli ( erano sette ), raggiunsero in breve, al galoppo leggero, le gabbie di partenza, a destra, in fondo alla dirittura principale. Macchia era, per sorteggio, la più esterna di tutti, la più lontana dalla staccionata.
Lo starter aprì le gabbie. Macchia ebbe un leggero scarto, poi si riprese. Giovannino interpretò alla grande il suo carattere decidendo di lasciarla fare da sola, accompagnandola a braccia ma senza forzarla. Il caratteraccio della figlia di Matilde non tardò a farsi riconoscere. Aveva capito tutto e recuperò rapidamente terreno fino a insidiare, travolgere e lasciare a due lunghezze Wouwermann, il favorito della corsa. Angelo corse in pista come un pazzo e saltò addosso a Macchia che si fermò tranquilla davanti a lui per gustarsi fino in fondo la sua affettuosa riconoscenza e il suo entusiasmo.

Macchia corse ancora a due anni, sempre a Milano, il Gran premio dell’Avvenire, e vinse ancora, e vinse ancora l’anno seguente le Oaks d’Italia, il più grande trofeo riservato in Italia alle sole femmine, e poi ancora in Francia, in Inghilterra e, a 4 anni, nel Kentucky. 12 gran premi internazionali, 12 vittorie, sempre nelle braccia di Giovannino Fois, il fantino che frusta col cuore, come ormai lo chiamavano tutti.

Lucia volle riservare a Macchia, per chiudere la carriera di corsaiola e prima di iniziare quella inevitabile di fattrice, un’ ultima corsa a San Siro, la sua pista. Una corsa non troppo impegnativa, una vera e propria passerella, davanti al suo pubblico e ai suoi fan.

Cari amici lettori, che avete avuto la pazienza di seguirmi fino a questo punto nel racconto, a Voi e alla Vostra sensibilità lascio la scelta del finale di questa storia romantica.
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2009/01/09

 
 
 REBECCA
 

Avevo accompagnato Rebecca alla stazione della metropolitana. Sarebbe tornata a Milano e da lì a Malpensa dove avrebbe proseguito per Barcellona. L’avevo conosciuta su un volo da Roma due giorni prima, e durante una conversazione intrigante, dove la storia della nostra vita veniva qua e là insaporita dal vivace confronto di emozioni vissute, ero riuscito a convincerla a interrompere il suo ritorno in Spagna per trascorrere il fine settimana a Milano. C’era una zia da parte di sua madre che lei desiderava rivedere da tempo e da cui sarebbe stata sicuramente accolta con gioia, e c’era anche la sua promessa di trascorrere il giorno dopo con me.
La raggiunsi Domenica mattina in Piazza del Duomo. Mano nella mano girammo in allegria per la città come due ragazzini ( raccontandoci tutte le stupidate che ci venivano in mente ) : il Castello, Sant’Ambrogio, il Cenacolo vinciano, la Scala, le mete turistiche insomma che usavo riservare ai miei colleghi americani quando mi venivano a trovare e che li lasciavano sempre entusiasti. Per la sera avevo scelto un locale romantico nella zona di Brera, quella degli artisti, dove l’atmosfera dominante è al tempo allegra e sensuale e i cartomanti, seduti qua e là lungo le stradine, a lume di candela, assecondano i sogni dei loro clienti per qualche decina di euro. Tutto si era svolto con molta naturalezza, come da manuale, anche la rapida occhiata d’intesa che confermava la meta per la notte.

Erano trascorsi molti anni dall’ultima volta in cui mi ero trovato a passare una notte in bianco con una donna. Ma Rebecca è una donna speciale. Sa come eccitare un uomo e non farlo assopire mai. Le mani sono la sua arma strategica d’attacco e le sue carezze, all’apparenza innocenti, sono in grado di travolgere qualunque forma di timidezza e demolire sul nascere ogni ansia da prestazione. Rebecca non ti chiede nulla. Ti prega soltanto di rimanere immobile, fin quando possibile. In silenzio comincia ad accarezzarti dolcemente e a lungo le palpebre e la bocca, poi scende lentamente con le sue dita intorno al collo e da qui, con ampi cerchi, sul petto, per poi scendere ancora, sempre più lentamente, tergiversando qua e là sulla tua pelle impaziente e proseguendo il cammino fino all’ approssimarsi dell’obbiettivo finale, che circonda con le sue carezze, lievemente, sempre più lievemente, senza mai darti l’impressione di volerlo conquistare, fino al momento in cui tu non riesci più a trattenerti e prendi con decisione l’iniziativa, scatenando la guerriglia su altri fronti e ritrovarti, alla fine, una cosa sola con lei nel tenerissimo talamo della pace.
Una volta. Ancora una volta. Una volta ancora.
Rebecca la definisce la strategia delle tre elle: da lontano, lentamente, lievemente.

Dalla stazione al mio ufficio la strada è breve: la notte in bianco non sembrava darmi problemi, ma i problemi c’erano comunque, tanti e di altra natura: il direttore della Banca Popolare che aspettava da me delle risposte circa i pagamenti della Dalmine, la Dalmine, che aspettava da me la data del collaudo finale del sistema controllo fumi, la Sapio che doveva dirmi quando mi avrebbe finalmente consegnato le bombole per chiudere la commessa della Dalmine, per non parlare della donna delle pulizie che voleva essere retribuita in nero per non pagare le tasse. Ero immerso in questi pensieri quando arrivai alla rotonda che collega Viale Campania con il Viale delle Industrie. All’incrocio notai fermo, in piedi, un uomo che mi ricordava in modo impressionante Angelo, un mio vecchio caro amico e collega di lavoro. Sì, sembrava proprio lui. Ma Angelo ci aveva lasciato vent’anni prima, a soli quarant’anni. Aveva contratto una particolare forma di asma e soffriva di acciacchi vari cui non aveva mai dato peso. Un giorno un amico comune mi avvertì che era morto. Andai a casa sua, per l’ultimo saluto. Attorniato da amici e parenti era adagiato nell’angusto soggiorno del suo appartamento in una bara di acciaio equipaggiata con un incredibile, rumoroso impianto di raffreddamento. Nessuno sapeva spiegarmi com’era veramente andata. Sua moglie, con una pancetta debordante che non le impediva di vestire nell’occasione una minigonna nera, faceva, sorridente, gli onori di casa.

Angelo era stato per me un grande amico, probabilmente l’unico vero amico della mia vita. Come ci incrociammo, sul lavoro, entrammo subito in confidenza. Si parlava di tutto, tra di noi, del lavoro, della famiglia, di politica, di donne, di sesso. Credo che lui invidiasse in me un livello sociale e culturale che comunque non usavo ostentare, mentre io ammiravo in lui la non comune intelligenza e una sua ( ostentata ) esperienza di vita che mi incuriosiva e mi acchiappava. Sembrava, tra l’altro, che lui sapesse tutto sulle donne e sul sesso, argomenti che, francamente, per gran parte della mia vita mi avevano trovato abbastanza impreparato e in cui lui mi fu certamente maestro. Ricordo quando mi diceva: “ Sai come si fa a capire se una donna è brava a letto? Devi osservarla attentamente quando mangia. Se si mostra tutta educata e compita, diffida. Se si abbuffa avidamente e magari si succhia anche le dita, vai tranquillo! Non ti deluderà.”

Continuavo a guidare verso l’ufficio mentre l’immagine di quell’uomo fermo all’incrocio e il ricordo di Angelo si erano rapidamente avvitati uno nell’altro e mi avevano agguantato. Improvvisamente invertii il senso di marcia e tornai alla rotonda. L’uomo era ancora lì, fermo, in piedi, con una vecchia borsa di pelle marrone nella mano sinistra. Sembrava aspettasse qualcuno. Mi avvicinai e mi fermai davanti a lui. Incrociammo i nostri sguardi per qualche attimo, poi lui sorrise, aprì dolcemente la portiera, entrò nella macchina e si sedette al mio fianco, senza dire una parola.
- Dove … Dove posso accompagnarla? – Cercai di rompere il ghiaccio, con grande imbarazzo.
- A casa tua, Giulio, se puoi e se non disturbo. -
Mi dava del tu e conosceva il mio nome. Uno tsunami sanguigno prese a scaricarsi nelle mie arterie. Lo osservai ancora, di sfuggita: era proprio lui e mi appariva esattamente come vent’anni prima : lo stesso sguardo asettico in un profilo facciale spigoloso e un corpo magro, anzi, secco, vestito da un abito grigio, classico e come sempre trascurato.
- D’accordo! … Angelo? -
- E chi altri, Giulio ? – Rispose ridendo.
Restammo così in perfetto silenzio ( mentre la mia materia grigia delirava nei propri fumi ) fin quando arrivammo a casa. Giunti nel soggiorno ci sedemmo, uno di fronte all’altro, e ci guardammo ancora profondamente negli occhi. Poi con la sua flemma di sempre e tagliando ogni inutile ( per lui ) preliminare cominciò a parlare :

- Giulio, devi sapere che ho due missioni importanti da compiere. Molto importanti. Se sarò bravo e fortunato ne sentirai presto parlare. Ho colto questa occasione per venirti a trovare: sei sempre stato per me un vero amico e mi hai insegnato molto, quando ci frequentavamo, senza farmelo mai pesare. Desideravo farti un regalo e trascorrere ancora qualche minuto con te ( ma non ti ho mai perso di vista, chissà se te ne sei accorto ).
Voglio dirti una cosa: un giorno, ma scorrerà ancora del tempo, l’umanità dovrà arrivare per forza a prendere davvero coscienza di sé. Attualmente la ricerca rincorre soltanto obbiettivi che presentino un ritorno in qualche modo remunerativo e quindi esclusivamente finalizzati al miglioramento della qualità della vita materiale. Niente di male, per carità, ma purtroppo con l’avvento dell’era industriale il mondo dei geni fai da te e dei ricchi mecenati che li scoprivano e li alimentavano è scomparso e allora filoni poveri del sapere che però potrebbero aiutare l’uomo a conoscere i misteri che lo caratterizzano e lo circondano, e sono tanti, vengono sistematicamente ignorati. Ci sono teoremi che la scienza ha abbozzato ma che non le importa approfondire e le varie religioni ( a parte, forse, quelle nate nell’estremo oriente ) riescono soltanto ad addormentare, con i loro dogmi, la ricerca dinamica della verità.

Voglio farti un esempio: l’accoppiamento sessuale tra un maschio e una femmina ( - Eccolo lì ! - stai sicuramente pensando, vero? ): quanto si è detto, quanto si è scritto su questo argomento! Quante interpretazioni diverse e contrastanti, ma soprattutto limitate, gli sono state attribuite: romantico e indispensabile traguardo di una storia d’amore, puro piacere fisico, necessità sociale dai risvolti religiosi... Qualunque sia la motivazione che lo promuove, Giulio, l’accoppiamento sessuale tra un uomo e una donna rappresenta il punto d’incontro più intrigante tra quello che l’uomo pensa di essere e quello che è realmente, e potendo dar luogo alla nascita di una nuova esistenza rappresenta un fenomeno di immenso spessore, tante sono le variabili che in perfetta sintonia lo determinano, un mistero fantastico che continua a travalicare la conoscenza umana.

Quali sono queste variabili? Beh, come tu sai, ogni zona spaziale, piccola o grande che sia, è caratterizzata , oltre che dalle tre classiche coordinate geometriche, anche da infiniti altri fattori, quali i gas che l’attraversano ( per esempio l’aria e gli odori ), la temperatura, la pressione, l’umidità, la natura e la storia della materia che la occupa, l’energia che la percorre ( quella luminosa, per esempio, o quella sonora ) e altri numerosi parametri che i sensi comuni e le attuali conoscenze non sono ancora in grado di rilevare. Tutti questi elementi sensibili, riconoscibili o meno dalle tecnologie attualmente note, influenzano e in qualche modo determinano le attività umane, e in particolare la più importante, quella sessuale, che sta alla base della procreazione. Questi dati variano col tempo ma non possono essere perduti e costituiscono un formidabile archivio attivo nella dinamica delle attività umane. La medicina omeopatica ha per prima colto l’importanza di questa realtà, anche se in modo estremamente limitato.

Mi fermo qui, per ora. Mi rendo conto di averti fuso la materia grigia sin dal momento in cui sono salito sulla tua macchina. Adesso me ne manca il tempo, ma tornerò presto, perché ho in programma di studiare insieme a te nuove strade conoscitive che possano essere approfondite dagli uomini. Ora devo andare, Giulio, caro, vecchio amico mio. No. Non ho bisogno che mi accompagni. So andare da solo dove devo andare. -
E ridendo : - Conosci una certa Rebecca? Sai, anche lei non aveva bisogno che tu l’accompagnassi alla metropolitana … -
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