REBECCA
Avevo accompagnato Rebecca alla stazione della metropolitana. Sarebbe tornata a Milano e da lì a Malpensa dove avrebbe proseguito per Barcellona. L’avevo conosciuta su un volo da Roma due giorni prima, e durante una conversazione intrigante, dove la storia della nostra vita veniva qua e là insaporita dal vivace confronto di emozioni vissute, ero riuscito a convincerla a interrompere il suo ritorno in Spagna per trascorrere il fine settimana a Milano. C’era una zia da parte di sua madre che lei desiderava rivedere da tempo e da cui sarebbe stata sicuramente accolta con gioia, e c’era anche la sua promessa di trascorrere il giorno dopo con me.
La raggiunsi Domenica mattina in Piazza del Duomo. Mano nella mano girammo in allegria per la città come due ragazzini ( raccontandoci tutte le stupidate che ci venivano in mente ) : il Castello, Sant’Ambrogio, il Cenacolo vinciano, la Scala, le mete turistiche insomma che usavo riservare ai miei colleghi americani quando mi venivano a trovare e che li lasciavano sempre entusiasti. Per la sera avevo scelto un locale romantico nella zona di Brera, quella degli artisti, dove l’atmosfera dominante è al tempo allegra e sensuale e i cartomanti, seduti qua e là lungo le stradine, a lume di candela, assecondano i sogni dei loro clienti per qualche decina di euro. Tutto si era svolto con molta naturalezza, come da manuale, anche la rapida occhiata d’intesa che confermava la meta per la notte.
Erano trascorsi molti anni dall’ultima volta in cui mi ero trovato a passare una notte in bianco con una donna. Ma Rebecca è una donna speciale. Sa come eccitare un uomo e non farlo assopire mai. Le mani sono la sua arma strategica d’attacco e le sue carezze, all’apparenza innocenti, sono in grado di travolgere qualunque forma di timidezza e demolire sul nascere ogni ansia da prestazione. Rebecca non ti chiede nulla. Ti prega soltanto di rimanere immobile, fin quando possibile. In silenzio comincia ad accarezzarti dolcemente e a lungo le palpebre e la bocca, poi scende lentamente con le sue dita intorno al collo e da qui, con ampi cerchi, sul petto, per poi scendere ancora, sempre più lentamente, tergiversando qua e là sulla tua pelle impaziente e proseguendo il cammino fino all’ approssimarsi dell’obbiettivo finale, che circonda con le sue carezze, lievemente, sempre più lievemente, senza mai darti l’impressione di volerlo conquistare, fino al momento in cui tu non riesci più a trattenerti e prendi con decisione l’iniziativa, scatenando la guerriglia su altri fronti e ritrovarti, alla fine, una cosa sola con lei nel tenerissimo talamo della pace.
Una volta. Ancora una volta. Una volta ancora.
Rebecca la definisce la strategia delle tre elle: da lontano, lentamente, lievemente.
Dalla stazione al mio ufficio la strada è breve: la notte in bianco non sembrava darmi problemi, ma i problemi c’erano comunque, tanti e di altra natura: il direttore della Banca Popolare che aspettava da me delle risposte circa i pagamenti della Dalmine, la Dalmine, che aspettava da me la data del collaudo finale del sistema controllo fumi, la Sapio che doveva dirmi quando mi avrebbe finalmente consegnato le bombole per chiudere la commessa della Dalmine, per non parlare della donna delle pulizie che voleva essere retribuita in nero per non pagare le tasse. Ero immerso in questi pensieri quando arrivai alla rotonda che collega Viale Campania con il Viale delle Industrie. All’incrocio notai fermo, in piedi, un uomo che mi ricordava in modo impressionante Angelo, un mio vecchio caro amico e collega di lavoro. Sì, sembrava proprio lui. Ma Angelo ci aveva lasciato vent’anni prima, a soli quarant’anni. Aveva contratto una particolare forma di asma e soffriva di acciacchi vari cui non aveva mai dato peso. Un giorno un amico comune mi avvertì che era morto. Andai a casa sua, per l’ultimo saluto. Attorniato da amici e parenti era adagiato nell’angusto soggiorno del suo appartamento in una bara di acciaio equipaggiata con un incredibile, rumoroso impianto di raffreddamento. Nessuno sapeva spiegarmi com’era veramente andata. Sua moglie, con una pancetta debordante che non le impediva di vestire nell’occasione una minigonna nera, faceva, sorridente, gli onori di casa.
Angelo era stato per me un grande amico, probabilmente l’unico vero amico della mia vita. Come ci incrociammo, sul lavoro, entrammo subito in confidenza. Si parlava di tutto, tra di noi, del lavoro, della famiglia, di politica, di donne, di sesso. Credo che lui invidiasse in me un livello sociale e culturale che comunque non usavo ostentare, mentre io ammiravo in lui la non comune intelligenza e una sua ( ostentata ) esperienza di vita che mi incuriosiva e mi acchiappava. Sembrava, tra l’altro, che lui sapesse tutto sulle donne e sul sesso, argomenti che, francamente, per gran parte della mia vita mi avevano trovato abbastanza impreparato e in cui lui mi fu certamente maestro. Ricordo quando mi diceva: “ Sai come si fa a capire se una donna è brava a letto? Devi osservarla attentamente quando mangia. Se si mostra tutta educata e compita, diffida. Se si abbuffa avidamente e magari si succhia anche le dita, vai tranquillo! Non ti deluderà.”
Continuavo a guidare verso l’ufficio mentre l’immagine di quell’uomo fermo all’incrocio e il ricordo di Angelo si erano rapidamente avvitati uno nell’altro e mi avevano agguantato. Improvvisamente invertii il senso di marcia e tornai alla rotonda. L’uomo era ancora lì, fermo, in piedi, con una vecchia borsa di pelle marrone nella mano sinistra. Sembrava aspettasse qualcuno. Mi avvicinai e mi fermai davanti a lui. Incrociammo i nostri sguardi per qualche attimo, poi lui sorrise, aprì dolcemente la portiera, entrò nella macchina e si sedette al mio fianco, senza dire una parola.
- Dove … Dove posso accompagnarla? – Cercai di rompere il ghiaccio, con grande imbarazzo.
- A casa tua, Giulio, se puoi e se non disturbo. -
Mi dava del tu e conosceva il mio nome. Uno tsunami sanguigno prese a scaricarsi nelle mie arterie. Lo osservai ancora, di sfuggita: era proprio lui e mi appariva esattamente come vent’anni prima : lo stesso sguardo asettico in un profilo facciale spigoloso e un corpo magro, anzi, secco, vestito da un abito grigio, classico e come sempre trascurato.
- D’accordo! … Angelo? -
- E chi altri, Giulio ? – Rispose ridendo.
Restammo così in perfetto silenzio ( mentre la mia materia grigia delirava nei propri fumi ) fin quando arrivammo a casa. Giunti nel soggiorno ci sedemmo, uno di fronte all’altro, e ci guardammo ancora profondamente negli occhi. Poi con la sua flemma di sempre e tagliando ogni inutile ( per lui ) preliminare cominciò a parlare :
- Giulio, devi sapere che ho due missioni importanti da compiere. Molto importanti. Se sarò bravo e fortunato ne sentirai presto parlare. Ho colto questa occasione per venirti a trovare: sei sempre stato per me un vero amico e mi hai insegnato molto, quando ci frequentavamo, senza farmelo mai pesare. Desideravo farti un regalo e trascorrere ancora qualche minuto con te ( ma non ti ho mai perso di vista, chissà se te ne sei accorto ).
Voglio dirti una cosa: un giorno, ma scorrerà ancora del tempo, l’umanità dovrà arrivare per forza a prendere davvero coscienza di sé. Attualmente la ricerca rincorre soltanto obbiettivi che presentino un ritorno in qualche modo remunerativo e quindi esclusivamente finalizzati al miglioramento della qualità della vita materiale. Niente di male, per carità, ma purtroppo con l’avvento dell’era industriale il mondo dei geni fai da te e dei ricchi mecenati che li scoprivano e li alimentavano è scomparso e allora filoni poveri del sapere che però potrebbero aiutare l’uomo a conoscere i misteri che lo caratterizzano e lo circondano, e sono tanti, vengono sistematicamente ignorati. Ci sono teoremi che la scienza ha abbozzato ma che non le importa approfondire e le varie religioni ( a parte, forse, quelle nate nell’estremo oriente ) riescono soltanto ad addormentare, con i loro dogmi, la ricerca dinamica della verità.
Voglio farti un esempio: l’accoppiamento sessuale tra un maschio e una femmina ( - Eccolo lì ! - stai sicuramente pensando, vero? ): quanto si è detto, quanto si è scritto su questo argomento! Quante interpretazioni diverse e contrastanti, ma soprattutto limitate, gli sono state attribuite: romantico e indispensabile traguardo di una storia d’amore, puro piacere fisico, necessità sociale dai risvolti religiosi... Qualunque sia la motivazione che lo promuove, Giulio, l’accoppiamento sessuale tra un uomo e una donna rappresenta il punto d’incontro più intrigante tra quello che l’uomo pensa di essere e quello che è realmente, e potendo dar luogo alla nascita di una nuova esistenza rappresenta un fenomeno di immenso spessore, tante sono le variabili che in perfetta sintonia lo determinano, un mistero fantastico che continua a travalicare la conoscenza umana.
Quali sono queste variabili? Beh, come tu sai, ogni zona spaziale, piccola o grande che sia, è caratterizzata , oltre che dalle tre classiche coordinate geometriche, anche da infiniti altri fattori, quali i gas che l’attraversano ( per esempio l’aria e gli odori ), la temperatura, la pressione, l’umidità, la natura e la storia della materia che la occupa, l’energia che la percorre ( quella luminosa, per esempio, o quella sonora ) e altri numerosi parametri che i sensi comuni e le attuali conoscenze non sono ancora in grado di rilevare. Tutti questi elementi sensibili, riconoscibili o meno dalle tecnologie attualmente note, influenzano e in qualche modo determinano le attività umane, e in particolare la più importante, quella sessuale, che sta alla base della procreazione. Questi dati variano col tempo ma non possono essere perduti e costituiscono un formidabile archivio attivo nella dinamica delle attività umane. La medicina omeopatica ha per prima colto l’importanza di questa realtà, anche se in modo estremamente limitato.
Mi fermo qui, per ora. Mi rendo conto di averti fuso la materia grigia sin dal momento in cui sono salito sulla tua macchina. Adesso me ne manca il tempo, ma tornerò presto, perché ho in programma di studiare insieme a te nuove strade conoscitive che possano essere approfondite dagli uomini. Ora devo andare, Giulio, caro, vecchio amico mio. No. Non ho bisogno che mi accompagni. So andare da solo dove devo andare. -
E ridendo : - Conosci una certa Rebecca? Sai, anche lei non aveva bisogno che tu l’accompagnassi alla metropolitana … -
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